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Di: Nicola Orichuia

Il punto che sollevi è fondamentale. La scelta delle parole da parte di tutti, ma del giornalista soprattutto, dovrebbe essere sempre ben calibrata. Esiste una parola per definire qualsiasi cosa, evento o situazione. E’ ingiustificabile, dunque, che un giornalista (che lavora con le parole) faccia ricorso a luoghi comuni oppure a termini che hanno tutto un altro significato.

Io da qualche tempo ho deciso – ed inviterei tutti a fare la stessa cosa – di scrivere direttamente a giornalisti i cui articoli ho trovato offensivi o superficiali. Non serve un giornalista investigativo per scoprire vie dirette a questi personaggi. Gian Micalessin ad esempio, autore di un recente articolo razzista nei confronti degli immigrati moldavi, si trova su Facebook. Altri forniscono le loro e-mail direttamente sotto i loro articoli. Nel caso di articoli non firmati, si scrive al direttore e alla redazione.

Se iniziassimo a scrivere e-mail di protesta in migliaia, le cose cambierebbero, ne sono convinto. E’ successo per quella pubblicità sessista dei pannelli solari, può succedere anche nel caso di giornalisti che scelgono male o in maniera distratta le proprie parole, causando danni di cui nemmeno si rendono conto.


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